Editoriale del direttore

Da L'Avvenire dei lavoratori - Periodico socialista dal 1899.

lunedì 29 giugno 2009


Vittima di una emozione interrotta

Torna Veltroni. E lamenta un "impedimento" che avrebbe bloccato la transizione del PD verso il 40 per cento dei consensi...

di Andrea Ermano


Lui è fatto così. Se il messaggio viaggia sul filo di una bella emozione, l'autorevolezza del mezzo lo farà parere vero. O comunque non completamente falso.


Walter Veltroni aveva piantato la segreteria quattro mesi or sono. "Per amore del PD". Adesso torna con un'intervista. Non si trovava bene dov'era? Si trovava benissimo. Ma ugualmente è tornato perché doveva farci sapere che lui è uno statista in quiescenza, "co-me Prodi", dice. Ma è meglio se gli gira alla larga, a Prodi.


Veltroni è tornato per assicurarci che non è tornato e che non torna. Lui non c'entra. Non appoggia. Non partecipa. Non parla. Almeno per ora. Poi, certo, più in avanti, le sue idee, le dirà anche lui: "con assoluta nettezza".


Ed ecco un netto assaggio di queste idee: "Il Pd doveva nascere dieci anni prima", anti-cipa Walter Veltroni, "ma l'hanno impedito perché era un'idea troppo americana, poco in linea con la tradizione socialista europea".


Maledetti socialisti tradizionalisti antiamericani che impedirono l'avanzare del Nuovo che avanza.


Avvenne oltre dieci anni fa. Correva l'epoca allora in cui l'Italia irradiava civiltà politi-ca sull'intero pianeta. Era l'epoca dell'Ulivo Mondiale... Nel frattempo però il Partito del Congresso Indiano, il Partito del Lavoro Brasiliano e varie altre organizzazioni hanno stretto un patto associativo con l'Internazionale socialista. Lo stesso ha fatto la fondazione Bill Clinton. E per finire i democrats statunitensi hanno intrapreso una rivalutazione della socialdemocrazia continentale in seguito anche alla catastrofe del liberismo selvaggio.


Detta così, il "Grande Impedimento" di cui si lamenta Veltroni sembrerebbe riconduci-bile ai Gandhi, ai Lula e agli Obama. Ma non può essere. In realtà, Veltroni (come Berlu-sconi) è vittima di un'emozione che tende a essere bruscamente interrotta, come i sogni ad occhi aperti.


"Ora che il socialismo europeo è ridotto com'è ridotto", prosegue Veltroni, "gli stessi profeti di allora annunciano che bisogna buttare a mare l'idea stessa di una grande forza riformista del 33-35 per cento, che avevamo realizzato in un solo anno di lavoro, per tor-nare all'armata Brancaleone, ai vertici con dodici leader".


A parte che "i dodici leader" tenevano in scacco il Cavaliere, il 33% vantato dall'ex sindaco di Roma non è stato "realizzato in un anno di lavoro", ma si potrebbe piuttosto definire un dato sociologico della sinistra italiana. Basti pensare che già nel lontanissimo 1919 troviamo il PSI al 32,3%, mentre il Fronte Popolare veleggiava nel pur disastroso 1948 intorno al 31%. E poi ancora il PCI da solo conquistò il 34.3% dei consensi nel 1976, mentre i Progressisti di Occhetto si attestarono nel 1994 al 34,34%.


Senza contare che il Centrosinistra di Prodi vince le elezioni nel 1996 con il 45,9%, l'Ulivo di Rutelli le perde nel 2001 nonostante un non disprezzabile 43,7% e nel 2006 di nuovo le vince Prodi con il 48.96%.


File:Veltrusconi.bmp Veltrusconi: vittima di un'emozione interrotta



Insomma, il 33% veltroniano del 2008 non può dirsi un risultato "realizzato in un solo anno di lavoro"... A meno che per "lavoro" non s'intenda la demolizione del governo Pro-di e la disarticolazione dell'intero centrosinistra italiano travolti entrambi da un'ondata di catastrofi.


Resterebbe infine da discutere sul "voto utile" dettato anche dall'apporto di organizza-zioni di base, appartenenti al movimento sindacale, cooperativistico e associativo che operano nel nostro Paese da molti decenni e che hanno sostenuto il PD di Veltroni a naso turato.


Certo, il socialismo democratico europeo e internazionale, dopo essere stato dato per morto e ri-morto parecchie volte, non versa neanche adesso nelle migliori condizioni. Per parafrasare un famoso detto, questo socialismo democratico europeo e internazionale è la posizione politica globale peggio messa, fatta eccezione per tutte le altre.


La sua crisi attuale è anzitutto legata alla crisi di un ciclo liberista, e quindi non diffor-me dalla crisi dello stesso PD italiano (che, per inciso, in un anno ha perso quattro milioni di elettori).

Tanto per il PD italiano quanto per il socialismo europeo la crisi viene da un modera-tismo di stampo blairiano che, dinanzi al disastro della globalizzazione finanziaria, cui sta facendo seguito una seria recessione dell'economia reale, appare ormai privo di strumenti, financo teorici.

Ma il socialismo democratico europeo e internazionale non finisce con la fine del blai-rismo e continua invece ad avere un suo vasto seguito che si fonda su una lunga storia e, soprattutto, su un'idea che non muore.


Il PD (25.13%) non sta meglio per esempio del PSOE (38.51%) in Spagna o del PA-SOK (36.65%) in Grecia, e per di più non ha ancora chiarito le sue contraddizioni interne più eclatanti: quella tra sindacalisti e confindustriali per esempio, quella tra laici e integra-listi, o quella tra ex democristiani ed ex comunisti. E come diceva Emanuele Macaluso sembra che non riesca sciogliere queste sue contraddizioni senza rischiare di sciogliere se stesso.


Nonostante ciò Veltroni rimane "dell'idea che un vero Pd può essere fra il 35 il 40% e che solo così si potrà aprire in Italia un ciclo riformista".


Sul teleschermo della "bella politica" vanno in onda le immagini oniriche di un Pd al 33-35 per cento... Come se lui ce l'avesse... Forse non è ancora arrivata la notizia che Veltroni non ha più il Pd né il Pd il 33 per cento.


E se il PD ha mai avuto il 33 per cento (vedi alla voce "voto utile"), il 35 per cento co-munque non esiste, non c'è mai stato, nemmeno ai tempi in cui Berta filava.


Eppure... eppure, eppure veniamo trasportati come d'incanto verso il 40 per cento... Questo, per Veltroni, è il "vero" Partito Democratico. Che dire? Siamo alla neo-lingua... "Vero", ma anche "falso".


Nella realtà (quella vera ma anche vera) Veltroni se n'è andato da qualche mese, si di-ceva. Se n'è andato dopo aver fatto saltare Prodi, perso le politiche, il Comune di Roma, la Sardegna e aver causato una mezza dozzina di altre sciagure. Se n'è andato "per amore del Pd". E se lo dice lui sarà pur "vero". Ma se n'è andato senza rispondere alle domande dei giornalisti e men che meno alle domande dei delegati congressuali del suo Pd, che lui così ama.

Ora torna agitando lo "spirito del Lingotto" e il "nuovo che avanza". Spirito che non gl'impedì la fuga, per ben due volte, la prima delle quali, ricordiamolo, si ebbe nel 1999 quando Walter Veltroni abbandonò la segreteria dei DS per fare il sindaco dell'Urbe.


Non se la sono data a gambe, però, le domande rimaste inevase. Quelle domande stan-no lì, attendono Veltroni come tre convitati di pietra. Eccole: 1) Se l'Europa è il nostro orizzonte, in Europa con chi sta il "partito dei riformisti italiani"? 2) Quale valore voglia-mo attribuire alla laicità delle istituzioni? 3) Quale rapporto si deve coltivare con il mo-vimento operaio in generale e con la Cgil in particolare?


Se Veltroni, o chi sta per lui, non risponde credibilmente a queste tre domande, il suo "vero PD" non sarà mai in grado di raggiungere, anche nella realtà oltre che nel sogno interrotto, quei consensi maggioritari che il popolo italiano serba forse ancora in dote, ma che ben si guarda dall'affidare a gruppi dirigenti giudicati eccessivamente furboidi.






giovedì 25 giugno 2009


Alle radici della crisi globale

Tra integralismo religioso e secolarizzazione selvaggia

di Andrea Ermano


1. Ho visto ieri delle foto ritraenti la nipotina di Che Guevara: seminuda, con addosso solo due bandoliere caricate a carote. Era uno spot a favore della "rivoluzione vegetariana".

Paolo Rossi dice che gli uomini di spettacolo sono "gente sempre circondata di donne". Anche quando devono governare un grande paese.

Roma evoca nuovamente nel mondo quella perversa temperie che la rese tristemente celebre all'epoca di Papa Borgia e che diede impulso alla Grande Riforma, un miscuglio d'integralismo cattolico e di secolarizzazione selvaggia.

A proposito di secolarizzazione Papa Ratzinger ha tenuto un interessante discorso, su cui magari intessere una bella serie di dialoghi platonici di nuova generazione.

Intanto però sul pianeta Terra si predica e si spara. A Teheran (ma non solo a Teheran) sono state ammazzate un bel po' di persone, tra cui una povera ragazza di nome Neda.

Martirio laico in un mondo in crisi nera, nel quale la secolarizzazione selvaggia del mercato globale e la reazione manesca dell'integralismo religioso si sciolgono come neve al sole: cadono a pezzi, e con loro cade a pezzi anche la falsa dialettica anti-politica a esse legata.


2. La protesta di Teheran rimbalza in tutto il mondo e suscita lo sdegno generale dell'opinione pubblica. In Iran il sistema teocratico di relazioni sociali, tra i sessi e tra i ceti, combinato con un esito poco cristallino delle elezioni, ha motivato una vasta protesta. La repressione che ne è seguita sta causando centinaia di feriti, centinaia di arresti e un assurdo tributo di morti. Morti ammazzati. Perché? Protestavano.

Protesto anch'io. Mi rifiuto anzitutto di commentare la situazione italiana. Sulla quale covo un sospetto: che essa illustri (per così dire) la catastrofe del liberismo selvaggio e della sua "egemonia culturale", ben riassunta dagli autoscatti delle ragazze "escortes", chiamate ad allietare le feste di Palazzo Grazioli.


3. Viene in mente un durissimo film dei fratelli Cohen, No country for Old men. Mi sento vecchio in un mondo che "non è un paese per vecchi". Il film coheniano seguiva i meandri insanguinati di un megapacco di soldi provenienti da loschi traffici. Il denaro veniva trovato per caso nel cofano di un'automobile... Ma forse mi confondo. Forse precipitava dal soffitto di un ufficio... E non precipitava in testa a un imprenditore? No. Chiedo scusa. Sono vecchio. Mi confondo. Quello è un altro film... Il Caimano.


4. Ma quando è iniziato tutto ciò?! La grande ondata del liberismo selvaggio ha preso le mosse più o meno trent'anni fa, quando Khomeini saliva al potere in Iran e Reagan negli USA. Una coincidenza? Non direi.

Il neo-liberismo e il neo-integralismo sono entrambi figli del mondo globalizzato, nati entrambi da una rivoluzione tecnologica che aveva partorito un potere finanziario planetario, onnipotente, privo di freni inibitori e di contrappesi.

Il turbo-capitalismo degli anni Ottanta ha assecondato un moto di collisione tra le placche continentali (chiamiamole così, alla grossa, per capirci) delle diverse civiltà.

Queste "grandi civiltà", intese come quei sistemi culturali continentali in cui il genere umano si articola da millenni, erano fino ad allora rimaste relativamente estranee le une rispetto alle altre. Poi, tutt'a un tratto, in forza delle nuove tecnologie di comunicazione, si sono viste irretite in una bruciante prossimità. Che, con inaudita ruvidezza, le gettava tutte quante sull'arena del villaggio globale, a combattere una battaglia per la quale le singole nazioni risultavano ormai troppo sottodimensionate rispetto alla scala multinazionale della competizione.

Che fare? Urgevano nuovi investimenti identitari su base multinazionale. Fu così che le radici cristiane, ma anche induiste, confuciane, islamiche ecc. apparvero naturalmente utili e preziose a definire orizzonti di identità più vaste, ben oltre quelle angustamente nazionali, ma non meno suscettibili di veicolare profondi coinvolgimenti emotivi di massa.

Le placche continentali smisero di essere i territori di un confronto tra nazioni culturalmente affini e scesero in campo esse stesse in qualità di veri e propri "giocatori".

I global players disponevano ora del sostegno di nuove identità continentali contrapposte ad altre identità continentali nel nuovo ambito di un competizione economica planetaria. Con buona pace della bella retorica sul dialogo tra le grandi religioni mondiali, che venivano massicciamente "funzionalizzate" dentro la turbo-secolarizzazione di un conflitto dai contorni ancora impensati.


5. Sono consapevole dell'estrema approssimazione di questi pensieri, ma non saprei come altrimenti tratteggiare il nesso essenziale che lega la rivoluzione tecnico-scientifica alle due filiazioni cui accennavo: la secolarizzazione selvaggia del neo-liberismo e la reazione oscurantista portata avanti in modo speculare dal neo-integralismo religioso.

Ciò detto, chi negherà che -- da Wall Street alle piazze di Teheran passando per l'ineffabile "egemonia culturale" della destra italiana come pure per mille altri fenomeni similari – la falsa dialettica tra turbo-secolarizzazione e turbo-integralismo giace ormai realmente in una crisi nera.

La ragioni di ciò son presto dette. Ciascuno dei due poli dialettici si frantuma a causa della propria intima fragilità e poi nessuno dei due regge più nemmeno all'urto reciproco, ancorché in puro stile wrestling.

Ma proprio in questa crisi, così gravida di rischi, c'è una speranza. Perché, se la falsa dialettica riflette l'impossibilità di governare la globalizzazione in forza del potere assoluto, vuoi del potere finanziario sull'homo oeconomicus vuoi del potere religioso sull'homo sacer, allora questa nostra è, deve essere, l'età della Politica.

Infatti, se riflettiamo, volendo prescindere dalla guerra, solo la Politica può configurarsi come un modo per risolvere le terribili tensioni interne alle dimensioni economiche o religiose, non meno che quelle tra l'economia e la vita religiosa o culturale tout court.

Ergo, la Politica in rapporto alla globalizzazione non può che declinarsi in "cosmopolitica", termine filosofico molto antico che rinvia però al problema, per noi attuale, di articolare un governo del mondo globalizzato.


6. Ma allora forse il socialismo democratico europeo e internazionale è tutt'altro che un vecchio arnese da buttare... L'osservazione può apparire persin ridicola in orecchi contemporanei, guastati dal cicaleccio mediatico, regolato dal rubinetto pubblicitario, azionato a sua volta dal potere del denaro.

Tento sommariamente di motivare questa mia tesi un po' bizzarra. In primo luogo il socialismo democratico ci parla della giustizia e della libertà di e per tutti gli esseri umani, nessuno escluso.

In secondo luogo il socialismo democratico costituisce una grande, strutturata e diffusa posizione politica globale (e verosimilmente non cesserà di rappresentare una tale realtà, anche se abbia perso il tre per cento dei seggi all'europarlamento di Strasburgo).

In terzo luogo il socialismo democratico può fornire un suo contributo al necessario processo costituente cosmopolita, un contributo tanto più insostituibile in quanto radicato nella lunga tradizione politico-organizzativa del movimento operaio internazionale, una tradizione politico-organizzativa fatta di partiti, sindacati, cooperative e istituzioni culturali operanti in quasi tutti i paesi del mondo.

Sarebbe sciocco spregiare, per biechi interessi parte, il sostegno che i socialisti democratici possono dare a finalità generali, utili cioè al genere umano, quali che esse siano, e fossero pure le "rivoluzioni vegetariane" della nipotina del Che. Poi, chissà, magari, strada facendo -- e sia detto per inciso, con tutto il rispetto per la gens Guevara – potrebbero emergere, al limite, delle priorità, forse anche più urgenti...


7. Per quanto detto, ritengo che si stia aprendo uno spazio del tutto inedito a sinistra, uno spazio che, intendiamoci, potrebbe anche chiudersi traumaticamente in un mese. Ma si tratta di uno spazio ampio, che mai, da cent'anni a questa parte, era stato così aperto.

Si pensi all'ultimo secolo di storia: prima l'imperialismo e poi la prima guerra mondiale, quindi lo stalinismo e il nazifascismo, poi la seconda guerra mondiale seguita a ruota dalla guerra fredda... Infine, come si diceva, la globalizzazione del turbo-capitalismo nemico di ogni socialità e del neo-integralismo nemico di ogni libertà individuale.

Tutto questo è sostanzialmente finito. Quindi, lo spazio politico, di per sé, ci sarebbe. Bisogna ora vedere se ci sono anche delle donne e degli uomini in grado di cogliere il senso dell'epoca cosmopolitica nuova.


http://www.avvenirelavoratori.eu/editoriale.html



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